
ALIMENTAZIONE...NUTRIZIONE...DIETA:
Health Literacy

Il termine ” dieta”, nella concezione generale, è spesso connotato da un'accezione negativa in quanto negativista, privatista, rinunciataria, costrittiva.
Nell’immaginario collettivo, il concetto di dieta assume una ben precisa linea di indirizzo: quella del conciso e sentenzioso assioma del “mettersi a dieta”.
Suole infatti essere associato a una condotta alimentare di tipo restrittivo, qualitativamente e /o quantitativamente limitante, e dunque conflittuale con l’omeostasi bio-psico-sociale dell’individuo , rivolta a conseguire il mero calo ponderale, o a una condotta alimentare di tipo prescrittivo, qualitativamente e /o quantitativamente definita, e dunque causa di una riduzione dell’ampiezza della “norma” di vita dell’individuo, rivolta a conseguire determinati scopi preventivi o terapeutici, o ancora a una condotta alimentare di tipo etico-filosofico, adottata per libera scelta personale, e dunque espressione di una precisa presa di posizione, rivolta a sottolineare, oppure a negare, la propria adesione ai modelli dominanti.
Interpretazioni fin troppo riduttistiche e fuorvianti: la confusione insita nella terminologia è specchio dell'approssimazione, dell'empirismo e della mistificazione, che purtroppo oggi accompagna l'evoluzione della scienza dietetica.
Per comprendere l’esatto significato del termine, la vera ragion d’essere e fine ultimo della dietetica, bisogna rifarsi alla semantica.
L’etimologia della parola dieta è da ricondursi al greco δίαιτα (diaita), che significa letteralmente “la via della vita” nel senso di “condotta di vita”.
Nell’antica medicina ellenica definiva il complesso delle norme di vita atte a conseguire e/o mantenere lo stato di salute:
uno stile di vita protratto al benessere che non riguarda solo l'alimentazione ma anche il rapporto dell'uomo con aria-acqua, la qualità del sonno, il carico di stress, l'attività fisica, le deiezioni, la vita sentimentale”
(Ippocrate, V sec a. C., “Sul regime di vita”)
Un concetto dunque ben più ampio, filosofico e olistico, quello inteso dagli antichi Greci, coerente applicazione di una prospettiva salutogena, evidente prototipo di quel concetto di salute espresso dall’Oms nel 1948, intesa come “stato di completo benessere
fisico, mentale e sociale e non solamente come l’assenza di malattia o infermità”.
Questo il reale senso di “dieta”: prendersi cura della direzione di vita e della propria salute, muoversi in direzione del polo dell’esistenza, ovvero non quello di dare più anni alla propria vita, bensì quello di dare più vita ai singoli anni, perché vita lunga e vita sana non sempre sono sinonimi.
“Essere a dieta” significa “ essere a dieta di vita e non di vitto”, “essere a dieta per la vita e non per il girovita”, “stile di vita “ e non “ temporanea moda di vita”, armonico equilibrio di corpo, anima e mente .
L’ alimentazione non deve essere uno "standard globalizzato”, né un’“imposizione medicalizzata”,
ma un fenomeno dinamico e vitale, temporalmente costante e nel tempo diversificato;
non un semplice processo fisio-biologico,
dettato da bisogni energetico-nutrizionali e modulante esclusivamente funzioni neuro-endocrino-fisiologiche,
ma una cosciente e completa esperienza sensoriale di piacere, un atto socio-culturale di comunione di vissuti, conoscenze e tradizioni.
Alimentarsi è un “processo” in “eterno fieri”, un continuum mutevole ed adattabile alle diverse esigenze bio-psico-sociali, e non un fattore assoluto, statico, normativo, imperante, dirimente.
D’altronde la salute stessa è da intendersi come “la possibilità di infrazione della norma della vita” in atto, (Georges Canguilhem, "Il normale e il patologico", 1966) , la capacità di attivazione di processi di riadattamento al mutato contesto, l’essere in grado e nelle condizioni di dar vita a nuove e infinite versioni della propria diaita.
Occorre per tanto maturare una base ben solida e chiara di conoscenze e competenze: non a caso c’e chi considera l’health literacy (“competenze per la salute") uno dei determinanti della salute, “the sixth vital sign” (Heinrich 2012).
“Essere a diaita” vuol dire “avere una diaita”.
Riprendendo una celebre metafora del sociologo Antonovsky
“La vita a un fiume pieno di pericoli in cui noi nuotiamo…
non si tratta di impedire all’individuo di nuotare nel fiume,
bensì di esplorare il fiume, individuarne i pericoli
e migliorare le capacità dei nuotatori
affinché acquisiscano maggiore sicurezza”.
Essere a diaita significa essere coinvolti in un processo di modifica, correzione, evoluzione e ottimizzazione.
Al completamento del percorso, il rilascio dell’”attestato di partecipazione”:
…..una propria personalissima e personalizzatissima dieta sana ed equilibrata?!?!?
No! Molto, ma molto di più…
“La certezza di possedere un plusvalore in ambito strutturale e decisionale: l’abilità di autogestirsi la propria diaita”



Se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico, né in difetto, né in eccesso, avremmo trovato la strada per la salute.



Il medico del futuro non si limiterà a prescrivere farmaci,
ma indurrà a interessarti maggiormente alla causa e alla prevenzione
attraverso l'alimentazione.




